Post Image

Psiche e Afrodite è un saggio di finalità altamente idealistiche con la volontà di riunire due polarità dell’essere umano da troppo tempo separate, due parti che non si riconoscono più: l’aspetto razionale logico e quello poetico artistico.

Il tentativo è quello di dar vita ad un pensiero creativo, non più asettico, imparziale, estraneo giudice di ogni emozione o aspetto sentimentale, bensì dinamicamente immaginativo, proiettato verso l’intuizione, attento ad ogni idea… un pensiero che rappresenti la forma concreta dell’idea a monte.

Questo saggio percorre l’itinerario archetipico, indirizzo teorico e clinico della psicologia del profondo inaugurato da James Hillman; si pone quindi in una prospettiva analitica arricchita da numerosi campi interdisciplinari quali mitologia, ermetismo, cabala, antropologia, mistica, alchimia al fine di approfondire e, insieme, estenderne la ricerca. Attraverso quest’opera le autrici entrano nei circolari tracciati della psiche dove le emozioni seguono un percorso labirintico, una via iniziatica verso il centro.

Tramite la costruzione di un mandala personale utilizzano poesia e mito come elementi di esperienza conoscitiva e di autoanalisi.

Questo libro dunque, che si esprime e comunica con modalità femminile, si propone di avvicinare, tramite il pensiero mitico, le dinamiche profonde della struttura degli archetipi che stanno alla radice della coscienza ed essendo la psiche la manifestazione finale della relazione tra la coscienza e l’inconscio, il metodo di ricerca e di espressione, che ha voluto tener conto della loro differenza, ha richiesto l’utilizzo di un approccio in grado di isolare l’inconscio dalla limitante egemonia della coscienza dell’io.


Da ciò una duplice modalità espressiva; l’apertura ad un linguaggio più aderente alla struttura intera della psiche, un codice diretto non solo all’Io apollineo ossia legato ad un sistema logico – razionale, ma allargato alle strutture del profondo che tenga conto di tutte le istanze tramite un’espressione promiscua, fatta di assonanze e di suggestioni essenziali. Il linguaggio non può che essere logico e al tempo stesso onirico: quello labirintico di Arianna.
Arianna vince il dubbio diadico con il lucido filo della “metis” e con lui tesse trame di luce e diventa Psiche, ondeggiante tra sogno e realtà, tra coincidenza e conciliazione, maschile e femminile, nel procedere tra espansione e contrazione nel palpito dell’assoluto. Perciò l’espressione non può che essere circolare, labirintica, modulata su rifrazioni e assonanze; deve seguire l’andamento ritmico serpentiforme del meandro, della spirale che ritorna su se stessa per tuffarsi in liquide profondità ed emergere merlettata di trine come tela di ragno imperlata di brina, tesa su rameggianti pensieri. Essa sfuma nella poesia, cioè nel linguaggio della parola silente che evoca ma non dice, per non destare il bell’incantato così da superarne l’armatura difensiva senza che questo intervenga a impedire il suo nascente amoreggiare con l’inconscio.
Per scivolare nell’inconscio fra gli archetipi scorrenti, simili a banchi di nubi, è necessario essere lievi, sfuggenti, cangianti, come l’anima che si vuole comunicare. Se la psicologia è scienza, linguaggio della psiche, la parola e ogni relazione con questa non può che essere poetica immaginativa, mitopoietica, poiché rivolta a quella corale assemblea di invisibili che potremmo anche definire energie, strutture psichiche, forze elementari, categorie filosofiche ma che, specchiate nella coscienza, emergono dall’inconscio con l’espressione sublime della divinità.

La parola ondeggia tra la contrazione del lucido pensiero e la dilatazione sfumata dell’anima fino alla grafia del simbolo, schema geometrico che, come un mandala, cattura l’attenzione del lettore inserendolo in un vortice di spirali sublimanti.

 “Questo libro può essere letto in modo convenzionale, e allora il lettore sarà intellettualmente sedotto, almeno all’inizio. Estetica, intreccio tematico, erudizione, preziosità stilistiche, ardite metamorfosi discorsive si trasformeranno, fin dalle prime pagine, in una sorta di malia intellettuale, cui seguirà poi una vaga sensazione di stralunato smarrimento. Allora il lettore accentuerà l’impegno con determinazione e cipiglio aggrondato, accettando la sfida, appellandosi al diritto di capire e alla volontà di comprendere. La lettura si trasformerà in un’avvinghiata lotta con lo sfuggente, il complesso, e l’ermetico, per ricondurre il molteplice e l’indefinito entro la luce del logos apollineo. Scacciato Orfeo che si delizia ad una fonte silvestre, il lettore si trasformerà in eroe virile che si addentra nella foresta, piena di sortilegi, smarrimenti e richiami, tutti volti a perderlo per liberarlo.
Ma la trama cui il lettore rimane avvinto, lo vuole risolutore di sciarade, capace di riportare ordine nell’enigma, riaffermando in conclusione il potere luminoso della ragione. Ma dopo un po’, sarà un nuovo perdersi in una foresta piena di parole che stormiscono e che sussurrano molte storie, in cui non è più possibile separare la coscienza di sé da quello che si legge.

Come farà il lettore ad interpretare il senso e il significato di quello che gli accade mentre rampicanti avvolgenti gli nascondono i sentieri e indicano tentazioni?

Il mito dell’eroe a questo punto si arrovescia, Arianna la duplice ha irrimediabilmente fatto smarrire a Teseo il filo argomentativo e logico con le sue congetture anticipatorie e i procedimenti abituali.

Il libro allora si svela per quello che è: ovvero un labirinto che mentre parla di sé, apre ai discorsi d’anima e trascina chi legge dentro un turbinio d’echi, di voci, di immagini, e d’arabeschi sontuosi. Ogni enunciato preso in modo letterale, si trasforma in un sentiero senza uscita, in un miraggio lontano, in risate argentine, in scherzi d’acqua, in mulinelli ermetici. Mentre i preziosi intarsi delle Dee trascinano in possibili esplosioni associative e in rispecchiamenti infiniti, il caparbio lettore finirà per perdersi da solo, ingarbugliandosi nelle proprie congetture raziocinanti e negli echi del suo labirinto.

A questo punto due le soluzioni: la rinuncia all’impresa, o lasciarsi andare alle Dee.

Mancandone una terza suggerisco questa soluzione. Lasciarsi andare per accettare i meandri del proprio labirinto. Solo allora il libro si rivela per quello che è, né una teoria psicologica, né una metafora filosofica, né un’erudita somma di richiami mitologici, ma un percorso iniziatico: le Dee offrono gli incantamenti, le voci, le immagini, i personaggi e le storie. Compito del lettore evocarli dentro di sé, trovandone il senso unico, in quanto personale. Insomma, abbandonato ogni ritegno eroico, cedendo ad un canto femminile, stordente come un frinire di cicale meridiano, chi legge entra in un altrove, e può iniziare così un viaggio iniziatico ignoto anche alle Dee. Una sorta di gnosi personale che si avvale dei sensi più che dell’intelletto, attraverso una foresta fitta di simboli mitologici e onirici. Dialoghi nello specchio resi possibili da una mitologia poetica spinta fino all’estasi, nutrita di risonanze classiche, misteriche e d’archetipi mediterranei. Lo gnomone della meridiana allora scandisce i tempi del viaggio, segna l’ombra delle ore, il loro susseguirsi: mentre Dafne fugge Apollo, s’insinua il meriggio panico, e il pendolo delle ore porta al susseguirsi delle molteplici e personali immagini d’anima.


Intarsio prezioso, lussureggiante, scritto con voluta e raffinata erudizione, trasgredendo ogni schema o genere, il libro fa irrompere nella radura del pensiero classico quell’irrazionale cui Eric Robertson Dodds, il grande filologo, riconnette le matrici del nostro modo di sentire. L’irrazionale che permea gran parte della mentalità greca antica, ormai inaccessibile, è dietro e dentro di noi alla radice di ciò che continua a renderci protagonisti dell’incomprensibile. Il passato mitopoietico arabescato di archetipi, può essere un mezzo per interpretare il presente, non quello di tutti o degli altri, ma il nostro. Gli infiniti frammenti di uno specchio possono così ricomporsi, offrendo a chi legge un canto femminile avvolgente, un invocato richiamo ad accogliere l’assente perché riesca a concedersi al suo mistero.”

Alessandro Salvini – Ordinario di Psicologia Clinica, Università di Padova

Rinascere negli Dei è la trasposizione del testo “Afrodite e Psiche, l’abbraccio avvolgente del doppio” nella  chiave narrativa di una sceneggiatura teatrale che narra di un sentiero di rinascita iniziatica e che è insieme percorso di autoanalisi.

“Forse all’interno di me stessa c’è la spiegazione di tutto questo che mi sembra assurdo”. – dice la protagonista.

Un viaggio notturno nel labirinto interiore alla ricerca del significato: il viaggio dell’anima sul confine dell’Ade, fra le costellazioni archetipiche, sul sentiero della luce. Anche in questo testo l’espressione si rivolge sia alla coscienza che all’inconscio chiamandoli ad una armoniosa collaborazione tramite la sinergia dei due livelli di comprensione: quello razionale, articolato su base logico dimostrativa, e quello intuitivo, che fa riferimento ad un linguaggio poetico, analogico, evocativo.

Next
Arianrhod la dimora degli Dei